DIMMI TUTTO: SONO TUTT’ORECCHI

“Dimmi tutto: sono tutt’orecchi”.
Quante volte abbiamo sentito o abbiamo pronunciato queste parole? 
Come ci siamo predisposti all’udire questa frase? E come ci siamo preparati nel dirla? 
Tutti vogliono essere ascoltati. Pochi sanno ascoltare. 

O se vogliamo interiorizzarne il concetto  potremmo dire: tutti vogliono essere ascoltati, ma pochi sono quelli che porgono orecchio alla voce giusta. Che poi questa  possa essere interna o esterna, non fa differenza.  

Con poche parole Epittèto, filosofo greco antico, ci illuminava così:

“Dio ci ha dato due orecchie, ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà”

Alla luce di queste parole il mio è chiaramente un invito a sapersi ascoltare, ascoltando (ed ascoltando si impara ad ascoltare). 

L’assetto dell’opera infatti, dalla particolare inclinazione verso la riduzione, coinvolge lo spettatore verso un monologo interiore che lo spinge a mettersi in sintonia con la parte più profonda del suo essere ed a prendere quindi consapevolezza della propria condizione interiore. 

“Dimmi tutto: sono tutt’orecchi”

Tutto questo viene reso “digeribile” grazie ad un ironico doppio senso: com’è vero che l’opera si chiama
“Dimmi tutto: sono tutt’orecchi” (febbraio-marzo 2021), è altrettanto vero che quest’ultima è composta da soli orecchi.  Per la precisione 64 orecchie anatomiche realizzate in resina epossidica da uno stampo in gomma siliconica e disposte concentricamente su una  tavola grande 81×81 cm.

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